Alessandra Di Domenico

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Quello che dovresti sapere sul dolore

Chi nella propria vita non si è mai trovato a vivere una condizione di dolore? Sicuramente con sfumature diverse, ma ognuno di noi, sin dalla tenera età, ha provato almeno una volta nella propria vita DOLORE. È qualcosa con cui ogni professionista che opera nell’ambito della salute si confronta quotidianamente e ne conosce bene la […]

Chi nella propria vita non si è mai trovato a vivere una condizione di dolore? Sicuramente con sfumature diverse, ma ognuno di noi, sin dalla tenera età, ha provato almeno una volta nella propria vita DOLORE. È qualcosa con cui ogni professionista che opera nell’ambito della salute si confronta quotidianamente e ne conosce bene la sua difficile gestione.

Sin dalle epoche più remote, la medicina ha sempre cercato di spiegarlo ma soprattutto di limitarlo e renderlo più sopportabile. Negli ultimi anni le neuroscienze hanno fatto passi da gigante nel decodificare i fenomeni alla base di questa esperienza e sono diverse le modalità terapeutiche con cui può essere affrontato. Tuttavia, ci sono alcuni tipi di dolore che, sebbene abbastanza chiari dal punto di vista del funzionamento di base, vedono ancora una limitata opportunità terapeutica e ne è un esempio il DOLORE CRONICO.

Prima di dare una classificazione dei diversi tipi di dolore, dobbiamo innanzitutto definirlo. La Società più importante sullo studio del Dolore, la IASP, lo identifica come una spiacevole sensazione corporea o un insieme di sensazioni in grado di impattare negativamente la componente fisica ed emotiva di una persona e non necessariamente si associa a danno dei tessuti. Quest’ultimo aspetto è sicuramente uno dei più interessanti, perché si allontana un po’ da quello a cui siamo abituati a credere: ossia che il dolore sia sempre associato ad una qualche anomalia anatomica, come ad esempio un’ernia, una artrosi, uno schiacciamento dei dischi intervertebrali e tanti altri. Le recenti evidenze ci dicono che non sempre è così.

Una delle forme più comuni di dolore è, ad esempio, quella sensazione che abbiamo quando pungiamo il dito con uno spillo ed immediatamente retraiamo la mano, questa primaria forma viene definita NOCICETTIVA. Nella maggior parte dei casi rappresenta una risposta difensiva nei confronti di un potenziale danno o pericolo. In questi termini il dolore è importante che sia presente, perché aiuta a proteggerci da situazioni di rischio. Basti pensare che esiste una malattia in cui le persone affette non percepiscono alcun tipo di dolore e questo comporta una bassa aspettativa di vita. Pensiamo oppure al dolore in seguito ad un trauma, anche qui si tratta di una risposta funzionale in quanto aiuta a proteggere l’area danneggiata ed è chiaro che, in queste due condizioni, il dolore si associa ad un danno del tessuto. La differenza con l’esempio precedente è che in questa seconda condizione sono presenti fenomeni infiammatori e possiamo quindi definirlo DOLORE INFIAMMATORIO, anch’esso molto importante a scopi protettivi.
Quindi una prima considerazione che possiamo fare alla luce di quanto appena detto è che, sia il dolore di natura nocicettiva, sia il dolore di natura infiammatoria, sono due fenomeni di protezione e che, in condizioni ottimali di salute, vanno spontaneamente incontro a risoluzione, purtroppo però poche volte si torna allo stato tissutale di pre-trauma, specialmente in seguito ad infiammazione. Solitamente queste due categorie di dolore, nocicettivo e infiammatorio, definite sulla base dei meccanismi patofisiologici che ne sono alla base, rientrano nella categoria del DOLORE ACUTO la cui definizione è data da criteri temporali.

Ma cosa accade quando il dolore non passa? Perché un dolore da una fase acuta permane per molto tempo? La prima complicazione di questi fenomeni è quando ad esempio un dolore su base infiammatoria, non viene curato adeguatamente e per adeguatamente intendo una completa risoluzione dell’infiammazione e il ripristino della ottimale funzione del tessuto lesionato. Quante volte abbiamo avuto un dolore ripresentatosi più e più volte, curato sempre in maniera inadeguata e alla fine è diventato un dolore del quale facciamo fatica a liberarci? Ecco, questo è esattamente ciò che accade nel passaggio da un dolore acuto, che potremmo quasi definire fisiologico, ad un dolore cronico, in cui si perdono le caratteristiche fisiologiche.

Introduciamo quindi un nuovo termine, il DOLORE CRONICO, che spiegherò in maniera più approfondita in un altro articolo, qui cercheremo solo di capirne le caratteristiche. La prima cosa da dire è che il dolore cronico raramente si associa solo ed esclusivamente ad un danno tissutale. Può capitare infatti di avere dolore, eseguire indagini diagnostiche e sentirsi dire che “non c’è niente” o comunque non ci sono condizioni tali da giustificare un dolore persistente. E quindi da dove arriva quella sensazione che ci sta affliggendo? Il dolore cronico è l’elaborazione di una miriade di informazioni che stanno arrivando al nostro sistema nervoso centrale, il quale le elabora e ci restituisce una sensazione che noi identifichiamo come dolore. Si tratta di una forma di iperprotezione e di iperreattività nei confronti di stimoli esterni ma anche interni. Sono quelle situazioni in cui sembra di avere dolore ovunque, come se non riuscissi a localizzarlo in un punto preciso, sono quelle situazioni in cui se un giorno vivi una “giornata no”, hai la sensazione che il dolore peggiori. Ecco, ti do una buona notizia, non è una sensazione sbagliata, è esattamente così come senti perché questo tipo di dolore risente di numerose condizioni, tra cui anche la cosiddetta sfera psico-sociale della persona.

Non entreremo nei dettagli neurofisiologici di questi fenomeni, ma ciò che mi preme dire è che, per usare una metafora, è come se il sistema nervoso centrale non riuscisse a gestire, filtrare e mettere in ordine le informazioni che gli arrivano e l’effetto di questo è una sorta di caos, come quando arrivano centinai di mail nella cassetta generale e non riusciamo a filtrarle. Quella stessa sensazione che avete quando rientrate in casa ed è tutto in disordine, non sapete da dove iniziare a sistemare; ecco, il sistema nervoso vive, nel dolore cronico, un qualcosa di simile.

Possiamo quindi dire che il dolore viene classificato sulla base di un criterio temporale e sulla base di un criterio patofisiologico. Nella prima categoria rientrano il dolore acuto, subacuto e cronico, sebbene il criterio temporale trovi in clinica non sempre delle nette distinzioni. Sulla base del criterio patofisiologico invece distinguiamo il dolore nocicettivo, infiammatorio, neuropatico e nociplastico. Nei prossimi articoli cercherò di sviluppare singolarmente ognuno di questi fenomeni.

Ricapitoliamo dunque quanto detto.
Il dolore non sempre si associa ad un danno tissutale. Quando il danno è presente si parla nella maggior parte dei casi di dolore nocicettivo/infiammatorio (puntura di spillo e trauma diretto), in termini di meccanismi fisiologici, o acuto/subacuto in termini temporali. Quando il dolore acuto non si risolve in maniera fisiologica è probabile che avvenga una transizione in dolore cronico che vedremo ha caratteristiche nociplastiche con de regolazione del sistema di elaborazione delle informazioni.

Perché è importante che un professionista sanitario, che opera nell’ambito del dolore, conosca questi concetti? E soprattutto, perché è importante che sappia da quale tipo di dolore è affetta la persona che a lui si rivolge? Perché stanno sempre più emergendo evidenze riguardo quella che viene chiamata la PAIN EDUCATION, ossia illustrare ed aiutare la persona affetta da dolore a comprendere quello che sta avvenendo nel suo corpo, al fine di poter gestire quella condizione nella maniera più efficace possibile. In secondo luogo, perché comprendere il tipo di dolore che il paziente ci riferisce è fondamentale per la sua gestione terapeutica. È fondamentale evitare che un dolore acuto/subacuto si trasformi in un dolore cronico, la cui gestione in termini di qualità della vita e costi sociali ha un impatto notevole.