Quando parliamo di sviluppo del bambino esso va considerato come un processo relazionale e discontinuo.
Questo perché lo sviluppo del nostro sistema nervoso è costantemente sostenuto da una spinta che deriva dalle sensazioni ed emozioni che un dato comportamento o situazione genera in ognuno di noi, sia esso a derivazione da un feedback interno, sia esso proveniente da un feedback esterno. Si tratta di elementi che contribuiscono a dare forma all’esperienza del bambino. Feedback interni, legati alla sensazione del “come mi sento” (perché i bambini si sentono tanto quanto gli adulti) e feedback sensoriali esterni, sono in grado di strutturare comportamenti motori e non solo.
Fin dall’inizio lo sviluppo avviene in quanto parte di una relazione continua e stabile con i genitori e con l’ambiente circostante e il significato che assume per il bambino dipende anche dal modo in cui viene guardato, ascoltato, pensato e “sentito” da parte di chi lo accudisce.
In particolare, la comprensione dello sviluppo non si realizza misurando solo ed esclusivamente il raggiungimento delle “tappe”, ma va considerata nel contesto di una relazione di accudimento in cui la manifestazione della “tappa” è probabilmente l’effetto ultimo di integrazioni molto più complesse.
Per esempio, a 7-8 mesi di vita il bambino aumenta la motricità e ciò comporta, spesso, maggiore emotività per lui, ma anche un cambiamento di ruolo per il genitore che dovrà svolgere un maggior controllo fisico e dell’ambiente nel quale il bambino si muove. Questo cambiamento suscita sentimenti misti di piacere per i suoi progressi e di ambivalenza verso la sua indipendenza, influenzando il modo in cui il genitore gestirà questi cambiamenti e quindi anche il comportamento stesso del bambino.
Lo sviluppo neuromotorio non segue una linea di sviluppo regolare, è discontinuo e avviene con scatti in avanti e pause. Questi scatti hanno un costo non solo per il bambino e possono essere accompagnati da fasi di disorganizzazione («Improvvisamente ha cominciato a piangere di più, a essere più irritabile») o anche da regressioni («Ha ricominciato a svegliarsi la notte»; «Non gioca più da solo»; «Non vuole più andare all’asilo»). Sono fasi normali, spesso dovute a momenti di particolare eccitazione per nuove esperienze e conquiste che il bambino sta facendo in altri campi («Ha cominciato a camminare da solo»; «In pochi giorni ha aumentato tantissimo le parole che usa per parlare») e durano pochi giorni o settimane. I genitori possono sentirsi disorientati, temere che il bambino stia regredendo o di aver sbagliato qualcosa con lui. Bisogna in realtà stare tranquilli perché nella maggior parte dei casi sono più che fisiologici.
Oltre che dalla maturazione del bambino questi squilibri transitori possono essere innescati da cambiamenti nel genitore o nella vita familiare. Ad esempio, una mamma che sta per rientrare al lavoro può provare un sentimento ambivalente verso l’allontanamento dal figlio, che può ripercuotersi in alcune routine di accudimento, come l’aumento del tempo dedicato a mettere il bambino a letto o la trasformazione del pasto in una battaglia. In entrambi i casi esiste un processo di influenza reciproca tra bambino e genitore, e in ogni fase dello sviluppo vanno considerate la prospettiva del bambino e quella del genitore.
Lo sviluppo del bambino, dunque, coinvolge molti aspetti altamente integrati tra loro. Le abilità motorie grossolane e fini, le abilità cognitive e sensoriali, il linguaggio, la vista, l’udito e le risposte agli stimoli interni ed esterni rappresentano la manifestazione della corretta integrazione di tutti gli stimoli e le esperienze che il bambino vive. In questa ottica, la conquista motoria, cognitiva, sensoriale e sociale, laddove non siano presenti delle atipicità, testimonia la perfetta integrazione del bambino con se stesso e con il mondo che lo circonda, un tandem armonico tra feedback interni e feedback esterni in grado di porre le basi a tutto lo sviluppo futuro.